Triathlon Off-road AltaBrianza by Alessandro
Rubando le parole dello stesso autore di questo bellissimo post…”l’importante non è celebrare le persone ma la Natura;non è un merito, ma solo una gran fortuna poter godere delle bellezze naturali che ci offre in abbondanza la nostra terra.
E devo ringraziare il triathlon per la possibilità che mi ha dato di vivere la Natura a tutto tondo, letteralmente immersi in tutti i suoi elementi!”

Fonte: feralpitriathlon.it
“Peccato per il clima infausto, la classica nuvola di fantozziana memoria non ha mollato un attimo la presa tenendo la montagna, e noi con lei, avvolti in una densa e fredda nebbia che neppure le raffiche di vento gelido riusciva a spazzar via, impedendoci di godere il panorama sul lago di Como che dalla vetta del Bolettone (immagino) sia davvero mozzafiato.
In compenso abbiamo potuto godere di una vera e propria scorpacciata di natura ed avventura: la frazione di nuoto è di per sè sempre affascinante e l’atmosfera del lago (che pare celi i resti di un insediamento palafitticolo) contornato da una cornice di verde davvero lussureggiante faceva riemergere ad ogni bracciata lo spirito ancestrale di sopravvivenza che ti fa vivere emozioni forti, quasi “animalesche”, nella ricerca di un contatto leale intenso (ed anche, almeno per me, colmo di gratitudine) con e verso la Natura.

Fonte: A-Team Triathlon
Usciti dall’acqua, dopo un giro intorno al lago, lungo un sentiero molto divertente che costringeva ad una continua gincana tra gli alberi, mettendo subito alla prova le nostre doti di equilibrio, prima di affrontare la salita (per me davvero micidiale, sempre al limite del ribaltamento), il percorso ci ha condotti su e giù per le colline moreniche lungo una carrareccia che a tratti attraversava ampi campi e prati con l’erba alta carica di spighe argentate, ormai pronta per lo sfalcio, ed a tratti boschi di robinie e pini silvestri ed anche una zona umida con tanto di stagno e rane gracidanti.
Dopo l’attraversamento del paese di Albavilla, passando per alcuni viottoli, stretti tra le case di sasso, così angusti che ci passava a mala pena il manubrio della bici, la strada, dopo un paio di tornanti tra le ultime case, imbocca una mulattiera subito ripidissima che ti costringe a tenere il mento quasi schiacciato sul manubrio per evitare il ribaltamento, fino a quando il fondo diventa sterrato e sconnesso e ti obbliga, appena prima del primo scollinamento ad arrenderti e a saltare giù dalla sella.
Inizia una ripida discesa su asfalto che (porca p….!) ti fa perdere buona parte del dislivello vinto a prezzo di tanta fatica (inutilmente spesa)… e poi ovviamente si torna a salire, per fortuna con pendenza sempre impegnativa ma meno costante…
quando ormai, dal tipo di vegetazione e per la morfologia del pendio che si faceva via via meno ripido, lasciando intuire l’inizio di un pianoro, credevo di essere giunto in prossimità dell’alpe del Vicerè (punto di arrivo della frazione di bici a quota 1000), il sentiero incrocia la carrabile e dopo tanto sterrato penso, tra me e me, che non sarebbe male se l’ultimo tratto fosse su asfalto, ma il mio desiderio viene subito stroncato dai gesti perentori con cui uno dei volontari addetti al controllo del traffico mi indica di tagliare la strada per proseguire lungo un altro sentiero che si getta così a strapiombo nel bosco, che solo a stento riesco a vederne l’imbocco.
Da lì inzia un “single track” davvero divertente che mette a dura prova le doti di equilibrio e l’attenzione (già compromessa dalla fatica): il sentiero corre, in piano, lungo una specie di cengia, non più larga di mezzo metro, ricoperta da una erba folta e verdissima, che taglia in costa il ripido fianco della montagna; c’è giusto lo spazio per le ruote ed è proibito distrarsi o perdere l’equilibrio, sopratutto verso valle (già mi immagino la scena di rotolare nel fitto dell’erta boscaglia senza riuscire a staccare i piedi dai malefici “attacchini” che per il timore di perdere il pedale avevo indurito con un paio di giri di brugola poco prima della partenza!).
Per fortuna quando l’esercizio da funamboli incominciava a diventare sempre più insidioso per la presenza di sassi e radici resi viscidi dalla pioggia, finalmente il sentierino (“da paura”) svolta di nuovo in su verso la montagna, si allarga e riprende a salire ad ampie svolte (ed è la prima volta che mi soprendo ad essere contento di vedere una salita!)
La cornice ambientale è sempre magnifica e i primi abeti ci preannunciano che ormai l’arrivo (della mtb) deve essere vicino ed infatti dopo il salto (a piedi) di un grosso tronco ed un’ultima rampa erbosa ecco che ci troviamo incanalati tra i nastri di plastica che ci accompagnano fino alla scalinata “trionfale” di ingresso alla seconda zona cambio.
Vinto l’imbarazzo (perdendo un paio di minuti) di scegliere quali indumenti indossare per la frazione di corsa (nel dubbio visto il clima infausto avevo lasciato nella mia postazione un intero guardaroba: maglie corte e lunghe, giacca a vento, cappellino, bandana, fascia, ecc., ecc.,), inbocco il sentiero che in 11 km ci porterà prima in cima al monte Bolettone (m. 1300 circa) e poi finalmente al traguardo!

Fonte: triangololariano.it
All’inizio sento le gambe pesanti e temo di aver calcato troppo sui pedali, ma poi correndo si sciolgono e grazie al sentiero pianeggiante e con fondo morbido, posso finalmente godermi appieno le meraviglie del posto: un magnifico bosco di faggi reso fiabesco dalle nebbie che salgono dalla valle (purtroppo, al solito, non si vede una ninfa!); ma il puro godimento finisce presto, appena inizia la salita verso il Bolettone, il bosco si dirada, lasciando il posto prima ai maggiociondoli in fiore, con i grappoli di fiori gialli grondanti d’acqua e poi ai prati alti disseminati di roccette calcaree; incontro un ristoro e due volontari fradici e infreddoliti per incoraggiarmi (mentendo spudoratamente) mi dicono che ormai il più è fatto e che la salita è quasi finita; allora bevo un pò di sali e mi cambio la maglia togliendo quella zuppa di sudore e pioggia e indosso quella asciutta a maniche lunghe; contento per la bella notizia riprendo a correre con buona lena. Poco prima del ristoro vengo superato dalla prima delle donne seguita da un compagno di squadra (Triathlon della Brianza) che stenta vistosamente a tenerle il passo.
Effettivamente dopo un breve tratto in lieve salita, il sentiero, svoltando sul versante opposto della montagna inizia a scendere, inoltrandosi in un altro bosco di faggi, alcuni di dimensioni monumentali, davvero magnifici, lo spirito è a mille e mi pregusto già il dopo gara (vista la temperatura non proprio estiva sta volta più che una birra gelata penso ad una bella doccia bollente!).
Mi ritrovo da solo, poi dopo un paio di km raggiungo e supero un giovane atleta che mi racconta la sua sventura (mi dice che era tra i primi 15 ma che ha avuto un problema alla bici che gli ha fatto spendere un sacco di energie e ora non ne ha più); dopo un paio di km in solitudine sono io però che quando il sentiero riprende a salire bruscamente (ma la salita non era finita?! sti maledettissimi c…!) avverto un prinicipio di crampi alla gamba sinistra, rallento il passo e sono costretto anche a fare una breve sosta.
Passato il crampo riprendo a correre (si fa per dire, in realtà camminando sarei andato senz’altro più veloce), ancora in salita sempre nel bosco di faggi con una magnifica fioritura di aglio selvatico ai lati del sentiero.
Dopo un pò sento dietro di me uno che urla (non vedendo più nessuno, tra le nebbie, pensava di essersi perso), ed urlando, a mia volta, lo rassicuro dicendogli di proseguire dritto che siamo sul sentiero giusto (salvo che mi sia perso anch’io!); dopo un pò mi raggiunge e troviamo l’ennesima freccia gialla che ci conferma che siamo sulla strada giusta, ma che ci obbliga per l’ennesima volta a svoltare ancora in su (ma do c… sta la vetta di sta minchia di Sbollettone!); è qui che dal nulla compare Flavio che come una saetta, mi passa, mi saluta e se ne va tra le nebbie, con ampie ed agili falcate come se fosse appena uscito dalle acque del lago!
Pochi minuti dopo arrivo finalmente in vetta, dove i volontari mi garantiscono che da lì in poi è davvero tutta discesa (effettivamente sopra di noi ci sono solo le nuvole); mi preavvertono che ci attende 1,6 km a piombo sulla zona di arrivo: la solita “mulattiera” con due strische di cemento… un autentico spacca talloni, muscoli e ginocchia e tutto il poco che ancora mi resta di integro!
Credevo di scendere abbastanza veloce, ma dopo un pò una voce femminile mi chiede strada: purtroppo non era una ninfa ma la seconda delle donne in gara che nonostante fosse abbastanza corpulenta, con passo celere e sicuro mi supera, per un pò provo a starle dietro, poi la lascio andare quando sento lo speaker che annuncia il suo arrivo al traguardo e un minuto dopo, finalmente, anche il mio…. è fatta, sono arrivato in fondo tutto intero!
Più volte lungo il percorso ho pensato a Max, a Silvio e ad Andrea che lo scorso anno hanno affrontato anche loro questa magnifica e (almeno per me) durissima gara.
Un vero piacere aver condiviso questa esperienza con Flavio, grande esordiente!”
